Capurganà, Colombia

Arriviamo a Necoclì dopo un lunghissimo viaggio in bus da Guatapè. È l’alba: ci lasciano sulla strada principale sotto un albero strapieno di uccelli che cinguettano.
Oggi è il compleanno della mamma ed insieme a Marina, mia sorella, andiamo a Capurganà.
Capurganà si trova nella regione del Chocò, pura selva al confine con il Panamà. Si raggiunge via mare o via aerea. Dicono sia un paradiso caraibico!

Ci trasciniamo addormentate verso il porto: un lungo pontile sul mare.
Osserviamo il lento caricare di valigie insacchettate e persone con k-way.
Ci costipano come sardine in una scatoletta.

Il viaggio è un inferno. Le onde sono alte e la barca salta e si scuote. Siamo tutti fradici. Siamo tutti doloranti. Siamo tutti speranzosi di arrivare ad una destinazione che non appare mai all’orizzonte.
Scendiamo pallidi dalla barca. Io mi sento colpevole nei confronti delle mie compagne di viaggio per averle trascinate in questo villaggio attraverso un’odissea.

Capurganà è inverosimile: un piccolo villaggio, due spiagge, tre negozi di alimentari con poco niente, un campo da calcio che funge anche da piazza, la pista di atterraggio per gli aerei. Qualche ristorante e alberghetto per turisti, qualche negozio di artigianato e souvenirs. 
Basta.
Tutto intorno la fitta selva del Chocò ed i sentieri segreti dei trafficanti e dei migranti.

Troviamo un ostello carinissimo dove, per pochi soldi, abbiamo un bungalow tutto per noi: Los Almendros.
Quello che più mi piace è la cucina: una capanna a pianta esagonale nel giardino: lungo il perimetro ci sono delle panche, mentre all’interno c’è una struttura circolare con l’acqua corrente e delle sezioni dove fare il fuoco per cucinare.
Conosciamo Estebàn e Federica e decidiamo di festeggiare insieme la mamma.
Mentre Estebàn, esperto cuoco sul fuoco, si adopera a preparare una cenetta coi fiocchi, noi donne andiamo a fare la spesa: è un impresa davvero difficile perché gli alimentari hanno poco e niente. Per fortuna la birra c’è e sarà lei e la bellissima compagnia a riempire di storie e di risate la nostra serata!

Non c’è molto da fare da queste parti. Si può stare in spiaggia e bere noci di cocco.
Oppure si può fare una passeggiata nella selva fino a El Cielo lungo il fiume che scorre. Si trovano delle piscine naturali con delle cascate e una carrucola per buttarsi in acqua. C’è una capanna e qualcosina da mangiare.
Lungo la passeggiata mia mamma è stata colpita da un signore che cercava oro nel fiume.

Colombia

Un’atra cosa che si può fare è andare a Sapzurro, poco più a nord di Capurganà: un altro villaggio dalle acque cristalline. Qui si arriva in barca o a piedi per la foresta. Io mi oppongo alla navigazione, solo all’idea mi viene da vomitare, mentre mia mamma si oppone al trekking perché ha paura dei trafficanti.
È una paura lecita, ma è molto improbabile, ci spiega la padrona dell’ostello, perché i turisti godono della protezione della gente del posto che con loro si guadagna da vivere. Una buona opzione può essere pagare una guida locale, possibilmente affidabile!

Stiamo così a bighellonare qualche giorno, preparandoci psicologicamente al viaggio di ritorno che sarà pure peggio dell’andata.
Quando approdiamo a terra siamo felici di essere vive e ridiamo all’immagine che ci eravamo fatte di una traversata caraibica: gente con gonne colorate, balli, cocktail, Bob Marley, corone di fiori…

Di una cosa sono certa, a Capurganà, in barca, non ci tornerò mai più!

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