Isola di Mucura, Colombia

Un giorno, mentre Aurora ed io ci trastullavamo a Manizales ricevemmo notizie di un nostro grandissimo amico: il cileno Andres.

Andres era arrivato alla costa e ci invitava a passare il suo compleanno nell’isola di Mucura, raggiungibile da Tolù. Aurora ed io decidemmo che era giunta l’ora di vedere il mare e partimmo così alla volta di Tolù.

Stavamo lì lungo la spiaggia a vendere il nostro artigianato quando, al calare della sera, sentimmo qualcuno gridare come un matto! Ed era proprio Andres arrivato da Cartagena. Fra abbracci, baci e racconti sormontati raccogliemmo le nostre cose ed trovammo alloggio in un ostello da banditi. Lì lasciammo i nostri averi ed andammo a fare festa. A mezzanotte scoccò la ora del compleanno e c’era gente di tutti i tipi a festeggiare con noi. Da quel momento i miei ricordi perdono i contorni e si confondono l’uno con l’altro fra bagni in mare ed Aguardiente.

L’indomani alle 9.00 partì la nostra barca e dopo un’ora e mezza di nausea ed agonia approdammo all’isola.

Nell’isola di Mucura tutti gli abitanti si svegliano all’alba. Nell’arco della giornata il caldo diventa soffocante e solo nel tardo pomeriggio viene lentamente la brezza dal mare. La gente comincia a respirare, sospiri di sollievo.

L’isola si trova nell’arcipelago di San Bernardo, nel mar caraibico colombiano. Le spiagge sono bianche, con palme di cocco, il mare cristallino con acque calde. Inevitabile è pestare per tutta l’area dell’isola gli infiniti coralli che giacciono a terra, inerti. 

Una sera, dopo aver montato la tenda sulla pallida riva, mi sedetti e mi guardai attorno. La situazione mi parse talmente irreale da credere, che se avessi preso una barchetta e remato fino all’orizzonte, avrei trovato una porta, come nel film The Truman Show, per uscire dallo scenario.

Joel, che è il negro più nero di tutti, ogni giorno si alza e dalla isola capitale conosciuta come El Islote, viene con una barchetta a Mucura per lavorare nel ristorante dei suoi genitori. 

I turisti arrivano in tarda mattinata, bevono birra e bibite, si fanno le foto, pranzano con tonno e riso al cocco che Joel gli serve al tavolo. 

Ieri Joel ci ha regalato il pranzo: era squisito.. immagina tu, il tonno appena pescato, il cocco appena raccolto ed il fuoco della legna.

Alcuni pomeriggi fa, mentre mi rinfrescavo nell’acqua, lasciata libera dai turisti tornati in terra ferma, si avvicinarono due bimbe dell’isola. Mi chiesero se sono cristiana, -si- e se vado a messa -no- allora non sei cristiana mi risposero -no solamente ho fatto il battesimo- il battesimo? -si diciamo che i miei genitori sono cristiani e quindi lo sono anch’io-. Allora loro mi raccontarono che vanno a messa tutti i giorni, alla mattina e alla sera e che si lavano i denti 4 volte, una appena alzate e le altre tre dopo ogni pasto. 

Bambini che si scattano un selfie

I bambini della isola sono molto curiosi, gli piace giocare con noi bianchi e farci tantissime domande. La maggior parte di loro non è mai uscita dai 4 km quadrati che costituiscono l’isola. Sanno nuotare da piccoli, arrampicarsi sulle palme per arrivare al cocco e giocano a calcio nel campetto in sabbia. Non conoscono i videogiochi e non hanno giocattoli, né biciclette. Non ricordo di aver visto bambini piangere, al contrario, le loro risa sincere e le loro grida quando giocano nel mare riempiono l’aria di allegria.

Guillermo dorme in un’amaca. Si alza alle 5 e si bagna nel mare. Con la Bibbia prega e ringrazia Dio per la creazione e per la vita. Dopodiché comincia con le mansioni di pulizia del ristorante e della spiaggia affinché i turisti trovino tutto meravigliosamente perfetto. Nel mentre canta delle canzoni sue. Alcune tristi, alcune felici.

Nella stessa spiaggia dove arrivano i turisti, dove Guillermo dorme nell’amaca e dove noi accampammo qualche notte, arrivano verso sera alcuni pescatori che scaldano una minestra di pesce sul fuoco e fumano marijuana.

Il nostro negozio! Bella vista? :)

Il vero nome dell’isola è La fine della fretta, me lo disse Juan, un anfitrione che ci accolse a braccia aperte quando arrivammo. Di fatti lì nessuno cammina veloce, il ritardo non esiste perché non esiste l’ora e la gente sempre sorride perché è felice e non conosce lo stress. 

Sull’isola vivono 247 persone, molte delle quali sono bambini. Per questo sono come una grande famiglia e non c’è violenza né polizia. Juan ci spiegò molte cose e si proclamò padrone di Mucura. Il suo compito è camminare in lungo e in largo l’isola per riferire i messaggi (visto che il telefono non riceve segnale), controllare che tutto vada bene e non ci siano problemi. Egli riceve i turisti che vogliono rimanere a dormire la notte, gli mostra il villaggio e le possibilità di alloggiamento, poi chiacchiera con loro e racconta le storie.

Il primo giorno che arrivammo Juan ci indicò dove potevamo campeggiare gratuitamente e ci presentò Tia Lina, che si rivelò essere la nostra cuoca di fiducia per tutta la nostra permanenza. 

Per la doccia potemmo attingere all’acqua dolce del villaggio, una sola profonda pozza.

“El Tiburòn” (lo squalo) è un anziano signore dell’Islote che portò Aurora e me al largo nel mare a vedere i pesci ed i coralli.

Una sera ci accompagnò all’isola capitale perché Aurora moriva di male all’orecchio. Lì venne visitata e curata e noi potemmo conoscere l’Islote. Che dicono sia l’isola più popolata del mondo. È anch’esso un posto surreale. I bambini impazzirono nel vedere il nostro artigianato ed i ragazzi stettero ad ascoltare Andres mentre improvvisava il rap. I genitori di Joel ci fecero dormire sul pavimento di casa loro e l’indomani “El Tiburòn” ci portò a conoscere la vicina Tintipàn dove ci lasciò tutta la giornata e ci recuperò solo a sera, riportandoci a Mucura.

Il nostro artigianato sull’isola Tintipàn

Dopo dieci giorni in quel luogo ospitale colsi l’occasione di un pescatore che all’alba andava a Tolù a portare la spazzatura. Mi disse: -Passo a prenderti alle 5.00 alla spiaggia dove dormi, stai pronta perché non ho tempo da perdere-. Alle 3.00 mi puntò la torcia addosso e mi gridò dal mare -Muoviti!- Salutai di corsa Aurora e Andres e saltai sulla piccola barca a motore. 

Dormii appoggiata ai sacchi di lattine vuote cullata dall’andare sul mare, sotto un cielo di stelle.

Rassicurata dall’uomo che a petto nudo reggeva fiero il timone puntando ad un punto nero all’orizzonte che si confondeva al buio della notte.

Arrivammo all’alba a Tolù e non volle da me nemmeno una moneta. Come non la chiese El Tiburòn, né il medico che curò Aurora, né Juan che ci fece da guida, né Joel che ci dava da mangiare.

Cara Colombia, come sei magica.

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